lunedì 15 aprile 2013

Kreuziger spiana la polvere da sotto il tappeto




Parliamoci chiaro: non avesse il nome di una birra io non mi sognerei nemmeno lontanamente di guardare la Amstel Gold Race, mi farei semplicemente distrarre da mare e bikini dei tropici senza farmi incantare dai mulini a vento. Ma tant'è che quest'anno ho deciso di voler ricominciare a guardare un po' di ciclismo fatto bene e soprattutto cominciare a capire quanto la promessa di Peter Sagan sia reale o se si risolverà semplicemente in una toccata di culo. E che culo!
Parlavamo dell'Amstel quindi, una gara che non ha il minimo interesse sportivo, costruita com'è su un biliardo e animata solamente da un po' di polvere sotto il tappeto. Quest'anno si decide poi di allontanare l'arrivo dai due avvallamenti più interessanti ed ecco che la cosa più divertente sembra la sorsata di schiumante nettare color oro sul podio.

Il pranzo sul tracciato piatto

Il tracciato piatto, abilmente camuffato nelle altimetrie, fa il suo corso: fuga della primissima ora spinta dal miracolato Vansummeren e rincorsa da un gruppetto male assortito che raggiunge anche una dozzina di minuti con un gruppo che sembra essere invitato a un brunch di panini e barrette.
Nel bel mezzo di uno di questi banchetti capita la cosa più interessante dei primi duecento chilometri: qualcuno si distrae genera una caduta che somiglia al classico scherzo della sedia fatto ad una cena di gala dove la sventurata vittima si trascina appresso la tovaglia con tutti i vassoi conditi. Stessa cosa capita a Gilbert sorpreso con panino in mano e il sorcio in bocca e sbattuto per terra insieme a gente del calibro di Rui Costa e Andy Schleck (nota al minore dei fratelli minchia: inutile che ti metti in faccia quell'espressione da cane bastonato. Qua il Libro Cuore ci fa cacare quasi quanto tuo fratello Frank).
Alla testa del Peloton vedere per terra il favorito non pare vero, così Lars Boom comincia a tirare come un Weimaraner alla ricerca di una cagnetta in calore spaccando il gruppo e lasciando indietro non solamente il belga iridato ma addirittura anche il manomortista slovacco.
Ma tutto si ricompone facilmente e per trovare un'altra emozione bisogna aspettare un'altra caduta, quella che vede protagonista  Purito Rodriguez tornato per spaccare il mondo ma capace solamente di sguazzare nel fango. Risultato? Ginocchio per terra e gara finita.

Il veleno sta nella coda

Scatti e controscattini con l'avanguardia che si scioglie mantenendo compatti inizialmente Vansummerend, Pliuschin e Astarloza lasciando poi solamente quest'ultimo ad inseguire la chimera della pinta dorata.
Al penultimo Cauberg Marco Marcato decide di forzare la mano con un attacco al quale si accodano anche Roman Kreuziger e Giampaolo Caruso, tutti e tre all'inseguimento di qualche pellegrino che sul Keutenberg aveva cercato acqua e libagioni più che ricchezza e dobloni.
I quattro avvallamenti successivi smuovono un po' le fila e poco prima dell'ultimo Cauberg Roman il veronese stacca tutti lasciando l'allegro gruppetto a dissetarsi.
La salita mondiale vede il Ceco con trenta secondi di vantaggio sugli inseguitori mentre il gruppo pare ne abbia abbastanza di prendere in giro la sciolta Cannondale e fa iniziare la sua gara.
L'ultimo Cauberg vede la promessa stagionata in solitaria mentre Gilbert ripete l'impresa di qualche mese fa: si stacca tutti dalla ruota ma dietro stavolta Valverde e Gerrans lo mantengono bene nel mirino.
La gara è segnata: Kreuziger taglia il traguardo smascellante e a braccia alzate mentre dietro Gilbert si fa riprendere da Valverde e Gerrans.
Grande Roman finalmente riesci a vincere qualcosa di importante.

domenica 7 aprile 2013

Il quattro di mazze che diventa Napoli a Denari



Ci sono assi di picche che ti regalano il Black Jack, ci sono palline che rotolano lente sul tuo numero e pagano 36 volte la tua posta, ci sono rollate di slot machine che si allineano su 5 jolly e tirano giù l'ira di Dio di monetine. Il quattro di mazze di oggi, buttato sul panno verde, ha più il sapore di un cappotto al termine di una lunga e nervosa mano di tressette. Bellissima, quanto le due che avevi già vinto. Un colpo da maestro a tressette con tutto il bar inchiodato intorno al tavolo, a questo assomiglia il velodromo di Roubaix con un Cancellara sfinito, che sembra aver terminato le energie nervose ancor prima di quelle fisiche per portarsi a casa il terzo cubo di porfido di una magnifica carriera.

Si parte da Compiègne (per fortuna che ancora la gara prende il nome dal suo storico nastro di partenza) senza il campione in carica, quel Tom Boonen che una settimana fa ruzzolò al chilometro diciannove del Fiandre, provvidenziale scivolata che gli ha risparmiato un bel paio di figuracce alle classiche del nord quest'anno.

La gara è subito chiara: i capitani non devono neanche sforzarsi a fare le squadre, si corre tutti contro la Radioshack e contro quello che va sul pavé come se andasse sulle rotaie. Tutti contro Fabian Cancellara. Una tattica di gara così scontata permette un andamento altrettanto scontato: una sacchettata di scatti per riuscire a sfiancare il plotone dai colori pastello.

Nascono così fughe da dozzine di corridori con dentro almeno un corridore a testa per BMC e Sky, indice che i capitani di queste squadre godono di un'ottima forma. Già ma chi sono i capitani delle due squadre anglofone? Se per gli americani i capitani sono almeno due (Van Avermaet e Hushovd) per i televenditori dell'Union Jack il cerchio si allarga ad almeno tre: un Boasson Hagen dalla forma crisoelefantina, uno Stannard ciclopico quanto cuore di burro e un Gerraint Thomas cristallino più per fragilità che per talento.
Nella prima metà di gara, quella inutile, il mattatore è Traylor Phinney, fastidioso quanto uno starnuto mai esploso, e Stuart O'Grady fuori luogo come una spruzzata di pecorino sulle linguine allo scoglio. Se il primo ha tutte le carte in regola per mettere prima o poi il sanpietrino in bacheca, il secondo dovrebbe accendere un cero ogni giorno alla sua divinità per il fatto di averne già uno a casa.

Nessuna paura in un gruppo pilotato alla velocità del suono dalla Radioshack tranne quella per il volo d'angelo Yoann Offredo concluso su un divieto d'accesso grosso quanto una casa. Prima undici davanti: ripresi. Poi quattro davanti: lasciati a bagno maria per un'ottantina di chilometri. A questa andatura anche la Foresta di Aremberg (a quasi cento chilometri dall'arrivo) fa poca paura perché passa in un amen. Per tutti tranne che per Thor Hushovd che, vittima di una foratura, se la percorre tutta in solitaria con la faccia di chi ha paura di essere rapinato Little John e per poi ribucare pochi chilometri dopo.

Il freddo comincia a farsi sentire dopo quando il treno di Berna alla cote #11 (Auchy-lez-Orchies) alza il prezzo del biglietto spazzando via dai vagoni tutti i clandestini. Il gruppo capisce che è l'ora di prendere in mano la testa d'ariete e far deragliare il convoglio, si spinge in avanti un attacco interessante. Nella crema del gruppo ci sono Flecha, Terpstra, Van Avermaet, Boom ed altri, senza dimenticare Cancellara, mentre nella melma rimagono Pozzato, Chavanel, Thomas e uno sgonfiato Stannard. Appare subito chiaro che la gara la faranno quei tredici davanti.

Ritorna il gioco delle parti anche nell'elitè, altro scatto e tutti a guardare Spartacus: «Se sei così bravo vatteli a prendere. Tanto noi mica vogliamo vincere». Il messaggio è chiaro: corriamo tutti contro di te. La risposta è altrettanto chiara: ok, corriamo.  Fabian rimane indietro a ridere di quei 4 pupazzi, fin quando non decide di far onore al suo cognome cancellandosi gli imbecilli dalla coda. Un, Dois, Trois, battistrada raggiunti. Quatre, Cinq, Six nuovo scatto dei condannati.

Vandenberg e Vanmarcke prendono qualche metro e gli altri ancora a guardare lo svizzero che si riarma di cucchiaio e fa ingoiare due etti di polvere a tutti, a tutti tranne che a Stybar. I battistrada entrano al Carrefour de l'Arbre in quattro ma presto si ritrovano in tre: Vandenbergh va sul ciglio, troppo sul ciglio, sbatte sul uno spettatore e strofina per terra, tanto per dare un lucidada a un pavé quantomai polveroso. Stybar fa quasi la stessa fine poche centinaia di metri dopo. Dai ragazzi le pietre della Roubaix vanno affrontate da uomini, se volete passare per il ciglio della strada almeno portatevi le birre!

La locomotiva sembra spazientirsi, per la prima volta gli tocca entrare nel velodromo con un passeggero nel portapacchi. Certo Vanmarke non è sicuramente alla sua altezza, ma hai visto mai, allo sprint è bravino. Nel velodromo di Roubaix la scena è surreale, manca poco il rossocrociato prenda a calci il trappista per tenerselo davanti e tutti ci aspettiamo che da un momento all'altro inizi un surplace degno di Bianchetto/Pettenella.

Niente di tutto ciò e quando la volata scatta Cancellara la vince ancora comodo sulla sua sella.

E sono tre, tre Roubaix vinte.

Se al mio primo nipote parlavo di Koblet come il più forte ciclista svizzero del tempo, alla mia prole sudamericana non potrò che narrare le gesta di Fabian Cancellara il Magnifico, uno di cui la storia non dimenticherà le gesta.

domenica 23 settembre 2012

La frustata di Gilbert



Perché il più forte di tutti non è mai uno che si fa notare.

Chi riempie le proprie pietanze di spezie, le amalgama lanciando il cibo per aria o le ubriaca di vino, lo fa perché non è sicuro del suo piatto forte. Il vero campione sa essere equilibrato, dosare gli ingredienti, stupire tifosi ed avversari con un'unica portata. Il campione in questione non ha bisogno di nessuna dimostrazione.
Certo il mondiale non era mai stata, fino ad oggi, la sua corsa, ma uno che ha nella sua casa di Verviers più trofei che bottiglie di birra sicuramente non ha la fregola di scattare ad ogni cavalcavia. Basta uno scatto, uno sguardo e il gioco si conclude con brindisi, maglia iridata e due baci dalle Miss.

Una corsa strana
Sulle strade dell’Amstel sembra che gli Olandesi vogliano fare un sol boccone dei propri ospiti: tra scatti e controscatti la macchia arancione si allunga e si accorcia alla testa del gruppo. Nella prima vera fuga però non si trova neanche un tulipano: c’è solo qualche luogotenente che tiene d'occhio la situazione per il proprio alto papavero. È il caso di Lastras, mandato a far legna per lo squadrone spagnolo e Cataldo volano sulla racchetta di Capitan Vincenzo Nibali. La corsa si snocciola tranquilla tranquilla nella campagna olandese, tra mulini a vento e villette dal perfetto prato all’inglese che pare rasato con le forbicine da unghie dei piedi. A far alzare la voce dei telecronisti solo una caduta senza conseguenze per il favorito Freire e la faccia paonazza del campione del mondo uscente Cannonball Cavendish che tira, senza motivo, il gruppo degli inseguitori al ritmo di una Seat Marbella.
Quando la corsa raggiunge il circuito i corridori assaggiano quegli strappi che saranno decisivi per la corsa: il Bemelerberg, poco più di un falsopiano, e il temutissimo Caueberg che acquista temibilità ad ogni giro, come la grappa in un addio al celibato.
Fra una sosta idraulica ed una chiacchiera con Arashiro, si arriva al terzo Caueberg dove Contador dà una pacca sulla spalla a Flecha che tira uno scatto interessante portandosi dietro una ventina di corridori fra cui un paio di bocche da fuoco: Faccia di Gomma Voeckler ed il Pistolero di Madrid.

Le fughe e il fugone
Si forma così un gruppo di cacciatori di taglie che ha come obiettivo canaglia quello di andare a recuperare sulla testa della corsa e come scopo reale quello di sfiancare il battaglione Belga. L'unico battaglione a disunirsi, però, è quello inglese che si sgrana come un rosario nel Corpus Domini. Così Sciacquatura di Liquidator Cavendish, You&Me Froome e FredPerry Wiggins si fermano uno dietro l'altro al pub a rinfrescarsi come dopo una bella passeggiata in Camden Town. Per lo squadrone inglese l’obiettivo di quest’anno si chiamava Londra e al mondiale era evidentemente più importante far vedere le maglie Sky che correre con un briciolo di sale in zucca.
Nello sfracelo albionico la corsa continua con due gruppetti davanti e gli italiani a fare bella mostra di sé in coda alle fughe, Contador a mangiare che neanche a ferragosto a Praia a Mare e qualche belga a far finta di tirare il Peloton. Quando i due gruppetti si fanno supergruppo, però, altre nazionali capiscono che è ora di fare un po' di fiato: Olandesi, Tedeschi e Australiani danno man forte alla Squadra delle Cozze che non aspettava altro. Gli italiani nel fugone, in quattro, lasciano tutto il lavoro a Flecha e all’ammiraglio di Vockler lasciando spazio al recupero del gruppo come se in squadra ci fosse qualcuno in grado di fare la differenza sull’ultimo strappo. Sfugge forse ai corridori italiani il particolare che Bettini (era davvero un arrivo per lui) è sull’ammiraglia e non in corsa. In pochi giri l’aggancio riesce e la squadra belga comincia davvero a fare paura, anche solo a guardare Gianni Meeresman che, col fiatone, riceve delle pacche sulle spalle da Naso di Coccio Boonen e per poco non è sbalzato direttamente sull'ammiraglia.

L’ultimo giro
Ai primi posti si fanno vedere le maglie azzure, fra tutte quella di Capitan Vincenzo Nibali aka Eugenio Volpini, che decide bene di scattare nel falsopiano dopo il Bemelerberg.
Quando ci si avvicina all'ultimo Caueberg tutti sanno già come potrebbe andare la storia: o Philippe Gilbert scatterà al secondo metro o Van Avermaet non farà andar via nessuno tirando la volata a Naso Egiziano Boonen. Insomma, qualsiasi cosa succeda bisogna stare alla ruota di questi due per non vedere l’iride illuminare Bruxelles. Capitan Volpini non è di questa idea, così prima mette alla frusta il suo pedone Moreno Moser, poi decide di lanciare lo scatto al favorito numero uno per poi schiattare.
Al buon Filippo non pare il vero di avere cotanta fionda così saluta la compagnia e lascia Valverde a guardarsi in faccia con Edvald Boasson Hagen.
La gara è segnata: a Gilbert gli onori, a Valverde le maledizioni di Flecha ("Ti morisse il gatto. Cazzo ti ho dato fiducia e tu fai il pirla?"), le lamentele di Freire (“I miei compagni di squadra se ne sono fottuti di me”) e a Nibali i complimenti del suo neopatron Vinoukurov ("Giro e Tour? Ma chi Capitan Volpini? Ma non fatemi ridere: piuttosto che fargli fare il capitano della mia squadra mi rimetto a correre io, col femore rotto!").

domenica 18 marzo 2012

Gerrans, clandestino in prima classe, vince a Sanremo. Nibali, miao.


Alla fine l'analisi che non ti aspetti, quella che ti lascia a bocca aperta, quella che non ti permette di aggiungere neanche un po' di sale perché ha il gusto perfetto del fegatello di maiale innaffiato da grappa di vinaccia, la fa un corridore. Quello con la tutina fosforescente che fino a pochi minuti prima sgomitava fra Degenkolb e Freire dà dimostrazione di intelligenza e senso tattico davanti ai microfoni Rai (no comment): "ha vinto Gerrans perché Nibali e Cancellara hanno sbagliato tutto: Nibali è andato in una fuga disperata non permettendo a Sagan di vincere, mentre Cancellara ha steso il tappeto rosso all'Australiano". Bravo Pippo Pozzato: in due parole hai spiegato l'epilogo una Corsa risoltasi negli ultimi cinque chilometri, ma che ha tessuto la sua tela con tante storie parallele.

La Milano-Sanremo al chilometro zero vedeva subito una fuga. Più pittoresca che altro vista la presenza del primo corridore cinese che abbia mai partecipato alla classicissima Cheng Ji. Il corridore, omonimo di un famosissimo disegnatore di giardini dell'era Ming, si staccava quasi subito, giusto il tempo di far parlare di sé telecronisti e giornali online con titoli che sfioravano il ridicolo (Gazzetta: Un cinese e altri 6 in fuga). 

La vera notizia della prima parte di gara, però, era quella della cotta del favoritissimo Mark Cavendish. Il campione del mondo inglese si staccava paonazzo sulla salita delle Manie. Sono state proprio le Manie a canzonare la giovane palla di cannone, che scoppiava su un cavalcavia rimangiandosi tutte le sua Manie di grandezza (questa era facile ndr). La corsa, vedendo il favorito di giornata pedalare sulla pece infiammata, si accendeva con la Quickstep-di-Boonen e BMC-di-nessuno a cavalcare ventre a terra costringendo gli sventurati compagni di squadra del roscio beone a fare i 70 all'ora per far recuperare la loro punta di diamante. La rincorsa della Sky durava poco ma la BMC non vedeva l'ora di arrivare a Sanremo e quando Philippe Gilbert si allungava a fare due domande ai suoi battistrada Quinziato gli rispondeva "Cazzo vuoi Philippe? Devo andare a Sanremo che mi devo prendere l'aperitivo con Arisa!", lasciando a dir poco basito il panciuto campione belga, che per il disappunto sarebbe caduto da lì a pochi chilometri.

A quel punto la corsa filava tranquilla, ai sessanta all'ora, fra la caduta del povero Quintero, e un saluto con la manina alla telecamera del rilassatissimo Tom Nasino Egiziano Boonen.

Ma la puzza di azione avventata si cominciava già a sentire, come nella cucina di una nonna più attenta a spolverare il servizio buono che a girare il ragù della domenica, quando l'ottimo Agnoli rischiava di tamponare Gianni Morandi per cominciare in testa la salita della Cipressa. La puzza in questione accendeva poi le fontane antincendio quando sull'ultima salita, quella del Poggio, sempre lo stesso Agnoli spingeva a tutta lanciando finalmente lo scatto del Gattino Ammaestrato Nibali. Spesso però, quando nella cucina si palesa tutto questo fumo, la portata principale a tavola non ci arriverà mai e il micio rimarrà intossicherà. Il gatto infatti sarà anche furbo ma quando si mette davanti alla locomotiva è inevitabile che venga spazzato via. Cancellara in tre pedalate raggiungeva Nibali e Gerrans e li portava a tutta velocità verso il traguardo con forza cieca di baleno, chiedendogli il cambio di tanto in tanto ma ricevendo risa e scherno da parte dei due clandestini.

Sul traguardo il destino di Spartacus è quello di essere battuto dal passeggero senza biglietto Gerrans che nel succhiare la ruota dello svizzero si guadagnava un posto in prima classe. In tutto ciò Vincenzino l'allocco gongolava per non aver dato la possibilità al suo giovane compagno di squadra Sagan di giocarsi lo sprint.
Questa era la cronaca, per l'analisi potete rivolgervi al buon Pippo Pozzato.

martedì 14 febbraio 2012

Marco Pantani (Cesena, 13 gennaio 1970 – Rimini, 14 febbraio 2004)


A otto anni dalla scomparsa del Pirata, pubblichiamo un pezzo uscito sul quotidiano l'Altro il 5 Giugno 2009 in occasione del Decimo anniversario dell'esclusione di Marco Pantani dal Giro d'Italia del 1999.

Madonna di Campiglio, 5 giugno 1999, Pantani escluso dal Giro d’Italia per un tasso di ematocrito oltre il livello consentito. Pantani, campione uscente, vincitore già di quattro tappe e con l’ipoteca sulla corsa in mano è scortato fuori dall’albergo dai carabinieri. Il senso di vuoto e di smarrimento degli appassionati è un ricordo forte e indelebile.

Quel campione sfortunato, capace di rialzarsi dopo gravi infortuni, fino a vincere Tour e Giro nello stesso anno, appiedato, annullato, umiliato prima di un’altra vittoria. C’era da sentirsi traditi, quella mattina di dieci anni fa. Invece il sentimento più diffuso tra chi aveva gioito fino alle lacrime per le imprese del campione di Cesenatico era quello dell’ingiustizia. Qualcosa non tornava, qualcosa non era come doveva essere, c'era la chiara e netta impressione che si volesse distruggere il più forte, per mettere in ginocchio il ciclismo. Marco Pantani, quella mattina, era un uomo sconfitto da qualcosa più grande di lui, ma fino al giorno prima era il Pirata, colui che aveva riportato il ciclismo ad essere lo sport epico, amato da tutti. Quel giorno il Pirata si riscoprì uomo.

Pantani si fa conoscere nel 1994, nella Carrera di Claudio Chiappucci. Arriva dal nulla, quel giovane con l’aria da sfigato, capace di lasciare sul posto Miguelon Indurain sul Mortirolo. E rimane subito simpatico. E poi l’anno dopo, con una vittoria di tappa da ricordare al Tour de France, quella dell’Alpe d’Huez, alla simpatia si affianca la speranza di aver trovato in campione. C’è in quel ragazzo ciò che da una vita i tifosi italiani cercavano: il dono di emozionare, la classe e la potenza per scattare in salita, la capacità di fare il vuoto, la potenzialità di vincere sulle salite le grandi corse a tappe, ormai diventate un’esclusiva di passisti e specialisti della cronometro. Per farlo ci voleva un campione vero, più forte di Moser, Chioccioli, Bugno e Chiappucci. Ma ci voleva anche uno di carattere, uno che se lo investono durante la Milano-Torino del 1996 e gli rompono una gamba in tre pezzi si rimette in bici; uno che se un gatto lo fa cadere male al Giro del 1997 riparte ancora ed è capace di vincere due tappe al Tour dello stesso anno.

Nel 1998 non c’è maledizione che tenga. È l’anno giusto, il più bell’anno di ciclismo vissuto da chi non era attaccato alla radio quando Coppi e Bartali si sfidavano sulle Alpi. L’anno in cui Pantani stacca forte Tonkov a Montecampione (chi non se lo ricorda vada a cercarlo su Youtube perché ne vale la pena) e distrugge la Maglia Rosa Alex Zulle relegandolo in fondo alla classifica in preda alla fame; l’anno che sulle Deux Alpes Marco dà nove minuti a Ullrich svelandone l’inconsistenza strutturale e caratteriale, dopo aver attaccato a settanta chilometri dal traguardo, sul Galimbert. Giro e Tour nello stesso anno, come Coppi, appunto. Nella Riviera Romagnola quell’anno la maglia mezza rosa mezza gialla di Pantani è un tormentone come “La copa de la vida” di Ricky Martin. Pantani è un mito. Nessuno come lui nel ciclismo moderno. I francesi che ci hanno eliminato agli ottavi dei mondiali di calcio, nel ciclismo si inchinano e ci invidiano: Pantanì è nostro, nostro è il beffardo pizzetto biondo che brinda a champagne sui Campi Elisi.

Per questo quella mattina di tredici anni fa fu tragica. Perché si distrusse un mito, uno come Tomba nello sci e come Senna nella Formula 1. “Mi sono alzato dopo tanti infortuni, questa volta sarà più difficile” dice Pantani a Madonna di Campiglio, consapevole che niente sarà come prima. Si racconta che alla notizia reagisce frantumando uno specchio a forza di pugni. Si sentiva attaccato Marco, un uomo nel mirino. La legge del più forte si stava ritorcendo contro il più forte? La domanda resta tuttora inevasa. Fatto sta che Marco perde un Giro già vinto e forse anche la sua voglia di combattere. Ma non perde l'affetto di pubblico e compagni. Viene sospeso per 15 giorni, quelli giusti perché quell'anno il Giro vada a Ivan Gotti. La sua squadra, la Mercatone Uno si ritira dalla corsa dopo il blitz anti-doping. Il giorno seguente Paolo Savoldelli, nuovo leader della classifica generale, si rifiuta di indossare la maglia rosa. Per quell'anno il Giro, il ciclismo, perdono il loro fascino.

Marco torna al Tour de France nel 2000, dopo circa un anno di inattività e dopo una partecipazione incolore al Giro dello stesso anno. I problemi con la cocaina si sono già presentati e sembrano superati, ma la condizione fisica non gli consente di lottare attivamente per la vittoria finale. Il carattere però è sempre quello del lottatore e si scontra contro il sentimento di onnipotenza del Postino Americano Lance Armstrong. Pantani affronta il Mont Ventoux con il suo passo, piano piano va a riprendere Lance Armstrong e con uno scatto dei suoi lo stacca. Lo statunitense non si lascia intimorire e lo riprende sul traguardo dove arrivano insieme, ma a vincere sul traguardo sarà il Pirata di Cesenatico. In una intervista al termine della tappa, la maglia gialla usa toni sibillini, riferendosi al suo avversario con un soprannome poco gradito, l’Elefantino. Dichiara di averlo lasciato vincere. Pantani è uomo di poche parole, ma dagli atteggiamenti impetuosi come lo Tsunami. Tre giorni dopo si affronta la tappa di Courchevel e Marco è splendido, con l’andatura danzante che l’ha reso famoso porta la sua bicicletta alla vittoria solitaria dando al Superman Texano quasi un minuto. È la sua ultima vittoria e quando Armstrong, all’indomani della scomparsa, parlerà del Pirata come il miglior scalatore mai esistito, è a quella salita che si riferisce, a quegli scatti brucianti che lo fecero traballare sulle Alpi.

L’ultimo balzo sulle prime dei giornali è stato quello del 14 Febbraio 2004 in quell’albergo di Rimini. Ma questo episodio meglio non ricordarlo, come meglio non ricordare quel 5 Giugno 1999 a Madonna di Campiglio.

mercoledì 8 febbraio 2012

Peppe Granato e #salvaiciclisti


Gentili direttori del Corriere della Sera, Repubblica, La Stampa, Gazzetta dello Sport, Corriere dello Sport, Il Messaggero, Il Resto del Carlino, il Sole 24 Ore, Tuttosport, La Nazione, Il Mattino, Il Gazzettino, La Gazzetta del Mezzogiorno, Il Giornale, Il Secolo XIX, Il Fatto quotidiano, Il Tirreno, Il giornale di Sicilia, Libero, La Sicilia, Avvenire.

La scorsa settimana il Times di Londra ha lanciato una campagna a sostegno delle sicurezza dei ciclisti che sta riscuotendo un notevole successo (oltre 20.000 adesioni in soli 5 giorni).

In Gran Bretagna hanno deciso di correre ai ripari e di chiedere un impegno alla politica per far fronte agli oltre 1.275 ciclisti uccisi sulle strade britanniche negli ultimi 10 anni. In 10 anni in Italia sono state 2.556 le vittime su due ruote, più del doppio di quelle del Regno Unito.

Questa è una cifra vergognosa per un paese che più di ogni altro ha storicamente dato allo sviluppo della bicicletta e del ciclismo ed è per questo motivo che chiediamo che anche in Italia vengano adottati gli 8 punti del manifesto del Times:

  1. Gli autoarticolati che entrano in un centro urbano devono, per legge, essere dotati di sensori, allarmi sonori che segnalino la svolta, specchi supplementari e barre di sicurezza che evitino ai ciclisti di finire sotto le ruote.
  2. I 500 incroci più pericolosi del paese devono essere individuati, ripensati e dotati di semafori preferenziali per i ciclisti e di specchi che permettano ai camionisti di vedere eventuali ciclisti presenti sul lato.
  3. Dovrà essere condotta un’indagine nazionale per determinare quante persone vanno in bicicletta in Italia e quanti ciclisti vengono uccisi o feriti.
  4. Il 2% del budget dell’ANAS dovrà essere destinato alla creazione di piste ciclabili di nuova generazione.
  5. La formazione di ciclisti e autisti deve essere migliorata e la sicurezza dei ciclisti deve diventare una parte fondamentale dei test di guida.
  6. 30 km/h deve essere il limite di velocità massima nelle aree residenziali sprovviste di piste ciclabili.
  7. I privati devono essere invitati a sponsorizzare la creazione di piste ciclabili e superstrade ciclabili prendendo ad esempio lo schema di noleggio bici londinese sponsorizzato dalla Barclays
  8. Ogni città deve nominare un commissario alla ciclabilità per promuovere le riforme.

Cari direttori, il manifesto del Times è stato dettato dal buon senso e da una forte dose di senso civico. È proprio perché queste tematiche non hanno colore politico che chiediamo un contributo da tutti voi affinché anche in Italia il senso civico e il buon senso prendano finalmente il sopravvento.

Vi chiediamo di essere promotori di quel cambiamento di cui il paese ha bisogno e di aiutarci a salvare molte vite umane.

Chiunque volesse contribuire al buon esito di questa campagna può condividere questa lettera attraverso Facebook, attraverso il proprio blog o sito, attraverso Twitter utilizzando l’hashtag #salvaiciclisti e, ovviamente, inviandola via mail ai principali quotidiani italiani.

Scarica qui la lista degli indirizzi mail.

Tutti gli aderenti all’iniziativa saranno visibili sulla pagina Facebook: salviamo i ciclisti

Hanno aderito all’iniziativa:

  1. piciclisti
  2. amicoinviaggio.it
  3. 34×26.wordpress.com
  4. rotalibra.wordpress.com
  5. frrfrc.blogspot.com
  6. wildpigs.it
  7. riky76omnium.wordpress.com
  8. bicizen.it
  9. urbancycling.it
  10. lastazionedellebiciclette.com
  11. rotafixa.it
  12. americancyclo.wordpress.com
  13. biciclettedecadence.blogspot.com
  14. mtb-forum.it
  15. bdc-forum.it
  16. lifeintravel.it
  17. milanonmybike.blogspot.com
  18. ditrafficosimuore.org
  19. raggidistoria.com
  20. ediciclo.it
  21. pedalopolis.org
  22. ciclomobilisti.it
  23. Forum Indipendente Biciclette Elettriche, Pieghevoli e Utility
  24. casbahcicloclub.com
  25. ilikebike.org
  26. bikeride.it
  27. bicisnob.worldpress.com
  28. bicicebasta.com
  29. muoviequilibri.blogspot.com
  30. festinalente.ztl.eu
  31. rotazioni
  32. pisteciclabili.com
  33. ciclistilombardianonimi.blogspot.com
  34. ciclospazio.it
  35. areabici.blogspot.com
  36. re-cycles.blogspot.com
  37. ciclofficinamartesana.blogspot.com
  38. ciclonauti.org
  39. succhiarote.blogspot.com

lunedì 6 febbraio 2012

Andy piange da mamma Uci ed è subito Tour



Una volta mi capitò di vincere alla pesa del maiale. Era la primavera del 1958 mi trovavo a seguire una corsa minore giovanile, nel frusinate. Capitai per caso in un paesello in cui si svolgeva una sontuosa Sagra del Maiale. Il cappellano del paese raccoglieva le previsioni di pesa e le annotava in un quaderno sudicio. Alla fine il prete, la più alta autorità presente il loco, pesò quel maialetto nero dei Monti Lepini e decretò il vincitore. Nessuno ebbe a ridire, anche se il Vostro era l'unico forestiero a partecipare. Ecco, mi piacerebbe nel ciclismo moderno un'organizzazione competizione seria, semplice e indiscutibile. Come era quella della pesa del maiale.

La squalifica di Contador arriva oggi, a quasi due anni dai fatti. È una squalifica retroattiva, che cancella i trionfi del Tour 2010 e del Giro 2011. Il pistolero venne pizzicato positivo proprio alla Grande Boucle. Appelli, ricorsi, controricorsi, indagini, carne avariata, menti annebbiate, la sentenza arriva oggi. 

Intanto Contador ha corso un altro Tour e vinto un Giro d'Italia. Il ciclista più forte in circolazione ha partecipato alle due più importanti corse a tappe del globo senza che si sapesse se poteva farlo a meno. Occhio di bue puntato sui protagonisti delle vicenda: i grandi capi dell'Uci, senza dubbio la schiera degli angeli celesti del paradiso dell'approssimazione.

Oggi il Giro d'Italia 2011 non è mai stato corso. È inutile dire che l'ha vinto Scarponi. Lo sa benissimo anche lui che non l'ha vinto. Non s'è messo la maglia rosa a Milano, non s'è sentito urlare per le strade come solo quando passa la maglia rosa succede. Non l'ha vinto. E non l'ha vinto nemmeno Contador. Il giro d'Italia 2011 non è mai esistito. Chi è salito per montagne a vedere arrancare il plotone, chi ha aspettato a valle per ore il passaggio dei ciclisti ha perso tempo. Era una gara finta, nulla, inesistente, fuffa, una gita in bicicletta. La colpa di questo disastro non è di chi ha o meno imbrogliato, la colpa è di chi fa, o non fa le regole. Non c'è da cercare responsabilità tra provette e direttori sportivi; la responsabilità dell'inutilità del Giro 2011 sta dietro giacche e cravatte rintanate in Svizzera.

Allo stesso modo, il Tour 2011 non è mai esistito. Va bene, non l'ha vinto Contador, ma tutti i suoi avversari correvano su di lui. Su di lui che, semplicemente, non c'era. Anche questa corsa è una corsa che mai si è corsa. 

La considerazione che mi viene, poi, è che cancellare Contador dagli albi d'oro del 2011 è una bestemmia. Sarà anche stato colpevole nel 2010, che vide la sua vittoria in un Tour tutt'altro che spettacolare ma nel 2011 di controlli ne ha ricevuti e più degli altri. E ogni volta che il suo sangue finiva sul vetrino del microscopio, i camici bianchi di tutta Europa facevano a gara per scovare quel 0,00000000005 di clenbuterolo che avrebbe fatto diventare recidivo il peccato del Churrasco.


La squalifica andava data subito: la sentenza sarebbe comunque stata criticabile ma solamente per un giudizio soggettivo e non per una oggettiva procrastinazione.

Una parolina dolce per quel Cervellone di Riccardo Riccò che dal suo studio campeggiato da una laurea in autotrasfusione tuona: "Contador sarà pure forte, ma chi sbaglia deve pagare". Certo Riccardino, ma per te sta pagando tua madre ché ogni volta che apri bocca viene assalita dall'ulcera da disperazione per aver messo al mondo un figlio opportuno come un rutto in faccia alla bella del paese, nel bel mezzo di quella Sagra del Maiale nel frusinate.