A otto anni dalla scomparsa del Pirata, pubblichiamo un pezzo uscito sul quotidiano l'Altro il 5 Giugno 2009 in occasione del Decimo anniversario dell'esclusione di Marco Pantani dal Giro d'Italia del 1999.
Madonna di Campiglio, 5 giugno 1999, Pantani escluso dal Giro d’Italia per un tasso di ematocrito oltre il livello consentito. Pantani, campione uscente, vincitore già di quattro tappe e con l’ipoteca sulla corsa in mano è scortato fuori dall’albergo dai carabinieri. Il senso di vuoto e di smarrimento degli appassionati è un ricordo forte e indelebile.
Quel campione sfortunato, capace di rialzarsi dopo gravi infortuni, fino a vincere Tour e Giro nello stesso anno, appiedato, annullato, umiliato prima di un’altra vittoria. C’era da sentirsi traditi, quella mattina di dieci anni fa. Invece il sentimento più diffuso tra chi aveva gioito fino alle lacrime per le imprese del campione di Cesenatico era quello dell’ingiustizia. Qualcosa non tornava, qualcosa non era come doveva essere, c'era la chiara e netta impressione che si volesse distruggere il più forte, per mettere in ginocchio il ciclismo. Marco Pantani, quella mattina, era un uomo sconfitto da qualcosa più grande di lui, ma fino al giorno prima era il Pirata, colui che aveva riportato il ciclismo ad essere lo sport epico, amato da tutti. Quel giorno il Pirata si riscoprì uomo.
Pantani si fa conoscere nel 1994, nella Carrera di Claudio Chiappucci. Arriva dal nulla, quel giovane con l’aria da sfigato, capace di lasciare sul posto Miguelon Indurain sul Mortirolo. E rimane subito simpatico. E poi l’anno dopo, con una vittoria di tappa da ricordare al Tour de France, quella dell’Alpe d’Huez, alla simpatia si affianca la speranza di aver trovato in campione. C’è in quel ragazzo ciò che da una vita i tifosi italiani cercavano: il dono di emozionare, la classe e la potenza per scattare in salita, la capacità di fare il vuoto, la potenzialità di vincere sulle salite le grandi corse a tappe, ormai diventate un’esclusiva di passisti e specialisti della cronometro. Per farlo ci voleva un campione vero, più forte di Moser, Chioccioli, Bugno e Chiappucci. Ma ci voleva anche uno di carattere, uno che se lo investono durante la Milano-Torino del 1996 e gli rompono una gamba in tre pezzi si rimette in bici; uno che se un gatto lo fa cadere male al Giro del 1997 riparte ancora ed è capace di vincere due tappe al Tour dello stesso anno.
Nel 1998 non c’è maledizione che tenga. È l’anno giusto, il più bell’anno di ciclismo vissuto da chi non era attaccato alla radio quando Coppi e Bartali si sfidavano sulle Alpi. L’anno in cui Pantani stacca forte Tonkov a Montecampione (chi non se lo ricorda vada a cercarlo su Youtube perché ne vale la pena) e distrugge la Maglia Rosa Alex Zulle relegandolo in fondo alla classifica in preda alla fame; l’anno che sulle Deux Alpes Marco dà nove minuti a Ullrich svelandone l’inconsistenza strutturale e caratteriale, dopo aver attaccato a settanta chilometri dal traguardo, sul Galimbert. Giro e Tour nello stesso anno, come Coppi, appunto. Nella Riviera Romagnola quell’anno la maglia mezza rosa mezza gialla di Pantani è un tormentone come “La copa de la vida” di Ricky Martin. Pantani è un mito. Nessuno come lui nel ciclismo moderno. I francesi che ci hanno eliminato agli ottavi dei mondiali di calcio, nel ciclismo si inchinano e ci invidiano: Pantanì è nostro, nostro è il beffardo pizzetto biondo che brinda a champagne sui Campi Elisi.
Per questo quella mattina di tredici anni fa fu tragica. Perché si distrusse un mito, uno come Tomba nello sci e come Senna nella Formula 1. “Mi sono alzato dopo tanti infortuni, questa volta sarà più difficile” dice Pantani a Madonna di Campiglio, consapevole che niente sarà come prima. Si racconta che alla notizia reagisce frantumando uno specchio a forza di pugni. Si sentiva attaccato Marco, un uomo nel mirino. La legge del più forte si stava ritorcendo contro il più forte? La domanda resta tuttora inevasa. Fatto sta che Marco perde un Giro già vinto e forse anche la sua voglia di combattere. Ma non perde l'affetto di pubblico e compagni. Viene sospeso per 15 giorni, quelli giusti perché quell'anno il Giro vada a Ivan Gotti. La sua squadra, la Mercatone Uno si ritira dalla corsa dopo il blitz anti-doping. Il giorno seguente Paolo Savoldelli, nuovo leader della classifica generale, si rifiuta di indossare la maglia rosa. Per quell'anno il Giro, il ciclismo, perdono il loro fascino.
Marco torna al Tour de France nel 2000, dopo circa un anno di inattività e dopo una partecipazione incolore al Giro dello stesso anno. I problemi con la cocaina si sono già presentati e sembrano superati, ma la condizione fisica non gli consente di lottare attivamente per la vittoria finale. Il carattere però è sempre quello del lottatore e si scontra contro il sentimento di onnipotenza del Postino Americano Lance Armstrong. Pantani affronta il Mont Ventoux con il suo passo, piano piano va a riprendere Lance Armstrong e con uno scatto dei suoi lo stacca. Lo statunitense non si lascia intimorire e lo riprende sul traguardo dove arrivano insieme, ma a vincere sul traguardo sarà il Pirata di Cesenatico. In una intervista al termine della tappa, la maglia gialla usa toni sibillini, riferendosi al suo avversario con un soprannome poco gradito, l’Elefantino. Dichiara di averlo lasciato vincere. Pantani è uomo di poche parole, ma dagli atteggiamenti impetuosi come lo Tsunami. Tre giorni dopo si affronta la tappa di Courchevel e Marco è splendido, con l’andatura danzante che l’ha reso famoso porta la sua bicicletta alla vittoria solitaria dando al Superman Texano quasi un minuto. È la sua ultima vittoria e quando Armstrong, all’indomani della scomparsa, parlerà del Pirata come il miglior scalatore mai esistito, è a quella salita che si riferisce, a quegli scatti brucianti che lo fecero traballare sulle Alpi.
L’ultimo balzo sulle prime dei giornali è stato quello del 14 Febbraio 2004 in quell’albergo di Rimini. Ma questo episodio meglio non ricordarlo, come meglio non ricordare quel 5 Giugno 1999 a Madonna di Campiglio.
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