martedì 10 maggio 2011

Wouter Weylandt e una Ghost Bike al Giro d'Italia

Wouter Weylandt Ghost Bike

Purtroppo Peppe Granato deve raccontare ogni tanto qualche storia triste. Oggi è uno di quei giorni. Non si tratta di squalifiche inattese o di sconfitte mal digerite. Di queste cose Peppe Granato ha sempre parlato con ironia, ma quando si tratta di una vittima dell'asfalto, beh, non c'è da fare ironia alcuna.

Certo c'è da dire che le strade metropolitane sono piene di biciclette bianche, vittime della strada e di coloro che non possono assolutamente una vita a 30 Km all'ora.

C'è una ghost bike a Roma, in Piazza Re di Roma dove un arzilla vecchina è stata portata via da un camioncino troppo sprintoso; un'altra ai Fori Imperiali dove un pirata ha spazzato via il sorriso di Eva; ricordiamo poi la strage di Lamezia Terme dove la ghigliottina a motore ha falciato la vita di sette persone.

Ma la Bici, che è soprattutto un mezzo di trasporto, è anche la protagonista del nostro sport preferito.

La morte nel ciclismo ha qualcosa di più violento rispetto ad altri sport dove si rischia la vita. Non ci sono tute, né caschi integrali, lamiere o barre laterali. C'è il tuo corpo che sfreccia a pochi centimetri dall'asfalto e se cadi resta carne contro catrame, carne contro muretti, guardrail e scarpate. La morte del ciclismo in tv è qualcosa da distogliere lo sguardo, perché tute, caschi integrali e lamiere separano l'obiettivo dall'orrore, nel ciclismo invece la morte, come tutto il resto, non ha filtri. Il ciclismo è sudore, fatica, lacrime e purtroppo anche sangue.

L'assassino spesso si chiama pendenza, non quella che si scala fra i tornanti con immense fatiche ma quella che porta giù i ciclisti, spesso stanchi, a quasi novanta all'ora verso vallate e traguardi bramati per centinaia di chilometri.

Io ho sempre odiato la discesa, quella che rovina le tappe alpine del Tour de France. Ma ho odiato ancora di più quella pendenza che tolse la vita a Fabio Casartelli, giovane promessa italiana già olimpionico a Barcellona ma quel 18 Luglio del '95 solamente un ragazzo che sull'asfalto francese ha lasciato in lacrime orde di appassionati. Perché la salita è sfiancante ma di salita non è mai morto nessuno. Anzi, forse sì, forse è morto Tommie Simpson sul Mont Ventoux ma è stato vittima anche delle condizioni avverse del clima e della sua salute. Perché quando in salita la strada si fa incandescente e le gambe durissime, basta fare un po' di zig zag o mettere il piede a terra e la stanchezza diventa ristoro. In discesa proprio quel piede e quello zig zag possono diventare fatali. Ne sa qualcosa Alex Zulle che più volte abbiamo visto cadere in dirupi e rompersi le costole, o Ivan Basso che senza un suo compagno di squadra a disegnargli le curve non riesce neppure a scendere da un cavalcavia, o ancor di più Oscar Pereiro primo vincitore di un Tour del dopoArmstrong che proprio in un dirupo ha smarrito il sangue freddo e la sua giovane carriera.

Siamo qui a Raccontare la storia triste di Wouter Weylandt che il 9 maggio, su una discesa pericolosa, tecnica, dura e annunciata ha lasciato noi, appassionati delle due ruote, scioccati, affranti, stanchi. Perché l'asfalto ha fatto un'altra vittima di 27 anni che andava in bicicletta.

Ciao Wouter.


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