Campionati mondiali di Ciclismo su Strada, Copenhagen 2011. Peppe Granato non poteva trovare occasione migliore per interrompere la sua sfrenata vacanza fatta di cucine speziate, esemplari femminili esotici e fiaschi del miglior rum del continente sudamericano.
Del tracciato danese si parlava da mesi. Mentre i ciclisti facevano fondo in altura che nemmeno un kenyota; mentre Ivan Basso passava il tempo fotografando i sui gioielli Santiago e Domitilla o spaccandosi il grugno in discesa; mentre Moser si impegnava ad addobbare i suoi cappotti con stelle di latta e ad avviare le trebbiatrici padane invece che bere la sacra acqua del Po; mentre i medici guardavano in controluce le lastre con gli ossi rotti di Bennati; mentre tutto questo passava (giustamente) inosservato, già si parlava di chilometri troppo dritti, di un percorso piatto come un panno verde e di un Cavendish pronto a colpire il boccino in un mondiale costruitogli su misura.
Questa sensazione era però diventata minoritaria col passare dei mesi: gli scalatori si allenavano a cronometro, Basso, rendendo grazie a Dei celtici, si toglieva smodate soddisfazioni al Giro di Padania, Moser lucidava i suoi stivali in pelle di molisano e i bookmaker davano la coccarda da favorito a Gilbert che, in quel breve falsopiano, avrebbe dovuto fare il vuoto dietro di sé. Strano questo netto cambio d'opinione. Non c'erano stati smontamenti o mutamenti della crosta terrestre, il piano non era diventato irto né l'irto diventato piano. Ciò che era cambiato era solo il favorito. Il pronostico giusto è stato quello della prima ora, di quando, cioè, i velocisti ancora non avevano gonfiato i muscoli, Basso si faceva fare i massaggi pregustando la vittoria al Tour de France e Moser masticava avido il tabacco delle vallate Piacentine.
Un uomo della mia età avrebbe potuto tranquillamente non esporsi all'umidità vichinga, alle zuppe d'anguilla e alle insulse tartine smørrebrød per assistere al mondiale più monotono degli ultimi anni. Due fughe caratterizzano le cinque ore scarse di corsa, di tutti i nomi che si alternano là davanti l'unico che ricordo è quello di Lastras che succhia le ruote ai colleghi di altre nazioni intenti a fare da volano ai loro connazionali meno avvezzi alle volate. Il gruppo però, fino all'ultimo giro, è lì sornione con la Gran Bretagna ad alternare uomini in avanti perché, come sanno quelli che corrono per la squadra favorita, si deve arrivare al traguardo a braccia alzate. C'è qualche caduta importante , come quella che mette a tappeto un personaggio inutile come Frank Schleck oltre al campione del Mondo Hushovd, e qualche episodio divertente: Chavanel che si cambia una scarpa in corsa mantenendo comunque contatto col gruppo, il tentativo di un inedito tandem iraniano-marocchino di riprendere i fuggitivi che dura quanto un cicchetto di Dammel Dansk.
L'unica cosa degna d'attenzione è l'andatura forsennata che al tredicesimo giro sfiora i cinquanta orari di media. Quando il gruppo è portato su da Millar lo strappo con le fughette è ricucito anche se un piccolo manipolo di tentiamolafortunachenonsisamai capitanato dal solito Voeckler e inseguito dal mai domo Johnny Hoogerland prende qualche metro di vantaggio.
Quando mancano sette chilometri Wiggins non ce la fa più a vedere questo scempio e si mette in prima linea con i quattro fuggitivi nel mirino. Diciassette secondi e davanti torna il treno d'Albione che incendia l'asfalto con presunzione Michelangiolesca. Dura poco, il treno si sfalda, e a tirare ci pensano gli Australiani, più per memoria Commonwealthiana che come scorta al cadetto Goss. Quando mancano quei famosi duecentocinquanta metri e tutti si aspettano un Gilbert che non arriva, ecco come un'ira di dio farsi spazio a spallate Cannon Ball che prende la coda di Goss e gli si stampa in faccia una foto ricordo iridata a braccia alzate. Dietro Greipel che batte per tre formiche e una mollica di focaccia di Cecina il rosso crociato Cancellare (il mio Fabian rischia il Bronzo in volata?).
Risultato: Cavendish, Goss, Greipel. Ma lo strappetto non doveva penalizzare i velocisti?
E gli Italiani? Hanno fatto schifo. Ma, nonostante il fumo negli occhi di Modolo, Viviani e Bennati questo già lo si sapeva dai tempi della transumanza primaverile, dei tweet fotocopia di Ivan Basso e dell'autarchia triveneta di Moser.
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