domenica 7 aprile 2013
Il quattro di mazze che diventa Napoli a Denari
Ci sono assi di picche che ti regalano il Black Jack, ci sono palline che rotolano lente sul tuo numero e pagano 36 volte la tua posta, ci sono rollate di slot machine che si allineano su 5 jolly e tirano giù l'ira di Dio di monetine. Il quattro di mazze di oggi, buttato sul panno verde, ha più il sapore di un cappotto al termine di una lunga e nervosa mano di tressette. Bellissima, quanto le due che avevi già vinto. Un colpo da maestro a tressette con tutto il bar inchiodato intorno al tavolo, a questo assomiglia il velodromo di Roubaix con un Cancellara sfinito, che sembra aver terminato le energie nervose ancor prima di quelle fisiche per portarsi a casa il terzo cubo di porfido di una magnifica carriera.
Si parte da Compiègne (per fortuna che ancora la gara prende il nome dal suo storico nastro di partenza) senza il campione in carica, quel Tom Boonen che una settimana fa ruzzolò al chilometro diciannove del Fiandre, provvidenziale scivolata che gli ha risparmiato un bel paio di figuracce alle classiche del nord quest'anno.
La gara è subito chiara: i capitani non devono neanche sforzarsi a fare le squadre, si corre tutti contro la Radioshack e contro quello che va sul pavé come se andasse sulle rotaie. Tutti contro Fabian Cancellara. Una tattica di gara così scontata permette un andamento altrettanto scontato: una sacchettata di scatti per riuscire a sfiancare il plotone dai colori pastello.
Nascono così fughe da dozzine di corridori con dentro almeno un corridore a testa per BMC e Sky, indice che i capitani di queste squadre godono di un'ottima forma. Già ma chi sono i capitani delle due squadre anglofone? Se per gli americani i capitani sono almeno due (Van Avermaet e Hushovd) per i televenditori dell'Union Jack il cerchio si allarga ad almeno tre: un Boasson Hagen dalla forma crisoelefantina, uno Stannard ciclopico quanto cuore di burro e un Gerraint Thomas cristallino più per fragilità che per talento.
Nella prima metà di gara, quella inutile, il mattatore è Traylor Phinney, fastidioso quanto uno starnuto mai esploso, e Stuart O'Grady fuori luogo come una spruzzata di pecorino sulle linguine allo scoglio. Se il primo ha tutte le carte in regola per mettere prima o poi il sanpietrino in bacheca, il secondo dovrebbe accendere un cero ogni giorno alla sua divinità per il fatto di averne già uno a casa.
Nessuna paura in un gruppo pilotato alla velocità del suono dalla Radioshack tranne quella per il volo d'angelo Yoann Offredo concluso su un divieto d'accesso grosso quanto una casa. Prima undici davanti: ripresi. Poi quattro davanti: lasciati a bagno maria per un'ottantina di chilometri. A questa andatura anche la Foresta di Aremberg (a quasi cento chilometri dall'arrivo) fa poca paura perché passa in un amen. Per tutti tranne che per Thor Hushovd che, vittima di una foratura, se la percorre tutta in solitaria con la faccia di chi ha paura di essere rapinato Little John e per poi ribucare pochi chilometri dopo.
Il freddo comincia a farsi sentire dopo quando il treno di Berna alla cote #11 (Auchy-lez-Orchies) alza il prezzo del biglietto spazzando via dai vagoni tutti i clandestini. Il gruppo capisce che è l'ora di prendere in mano la testa d'ariete e far deragliare il convoglio, si spinge in avanti un attacco interessante. Nella crema del gruppo ci sono Flecha, Terpstra, Van Avermaet, Boom ed altri, senza dimenticare Cancellara, mentre nella melma rimagono Pozzato, Chavanel, Thomas e uno sgonfiato Stannard. Appare subito chiaro che la gara la faranno quei tredici davanti.
Ritorna il gioco delle parti anche nell'elitè, altro scatto e tutti a guardare Spartacus: «Se sei così bravo vatteli a prendere. Tanto noi mica vogliamo vincere». Il messaggio è chiaro: corriamo tutti contro di te. La risposta è altrettanto chiara: ok, corriamo. Fabian rimane indietro a ridere di quei 4 pupazzi, fin quando non decide di far onore al suo cognome cancellandosi gli imbecilli dalla coda. Un, Dois, Trois, battistrada raggiunti. Quatre, Cinq, Six nuovo scatto dei condannati.
Vandenberg e Vanmarcke prendono qualche metro e gli altri ancora a guardare lo svizzero che si riarma di cucchiaio e fa ingoiare due etti di polvere a tutti, a tutti tranne che a Stybar. I battistrada entrano al Carrefour de l'Arbre in quattro ma presto si ritrovano in tre: Vandenbergh va sul ciglio, troppo sul ciglio, sbatte sul uno spettatore e strofina per terra, tanto per dare un lucidada a un pavé quantomai polveroso. Stybar fa quasi la stessa fine poche centinaia di metri dopo. Dai ragazzi le pietre della Roubaix vanno affrontate da uomini, se volete passare per il ciglio della strada almeno portatevi le birre!
La locomotiva sembra spazientirsi, per la prima volta gli tocca entrare nel velodromo con un passeggero nel portapacchi. Certo Vanmarke non è sicuramente alla sua altezza, ma hai visto mai, allo sprint è bravino. Nel velodromo di Roubaix la scena è surreale, manca poco il rossocrociato prenda a calci il trappista per tenerselo davanti e tutti ci aspettiamo che da un momento all'altro inizi un surplace degno di Bianchetto/Pettenella.
Niente di tutto ciò e quando la volata scatta Cancellara la vince ancora comodo sulla sua sella.
E sono tre, tre Roubaix vinte.
Se al mio primo nipote parlavo di Koblet come il più forte ciclista svizzero del tempo, alla mia prole sudamericana non potrò che narrare le gesta di Fabian Cancellara il Magnifico, uno di cui la storia non dimenticherà le gesta.
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